Per secoli, senza internet, senza iPod, YouTube e Spotify, la musica si è diffusa con le esecuzioni dal vivo.
Il pensiero sette-ottocentesco, la filosofia morale-speculativa come quella politica, indicavano la musica come l’Arte numero uno, come la più importante delle muse, la più eccezionale espressione intellettuale dell’uomo. L’educazione musicale era d’obbligo per ogni famiglia rispettabile, aristocratica o borghese, e il pianoforte strumento immancabile in qualsiasi abitazione; una sala adibita alla musica (sale da concerto, teatri, stanze con palcoscenici filodrammatici) era presente anche nel più piccolo paesino; in molti si sentivano spinti all’espressione musicale e studiavano canto o strumento, in un florido dilettantismo supportato dalla diffusione sempre più ampia dell’editoria e dall’avanzata scienza organologica, in grado di rendere facilmente suonabili anche gli strumenti più ostici (il pianoforte, gli ottoni e i fiati, fino ad allora appannaggio dei soli virtuosi), e capace di fornire “oggetti sonori” sempre pronti all’uso (sono divertenti i brevetti del «tavolo da cucito che si trasforma in pianoforte» e del «bastone da passeggio che si trasforma in flauto»).

immagine tratta da Curt Sachs, «The History of Musical Instruments», New York, Norton, 1940; ed. it. Paolo Isotta, Maurizio Papini: «Storia degli strumenti musicali», Milano, Mondadori, 1980, p. 463

 

Un dilettantismo che si sfogava in centinaia di società filarmoniche, di bande, di formazioni strumentali cittadine e locali, ognuna con un suo direttore, con i suoi “virtuosi” suonatori, e con compositori in grado di rifornirle di sempre nuove composizioni, di inni per le feste, di messe per i santi patroni, di sinfonie per qualsiasi evento sociale della comunità.

Arezzo, sempre contraddistinta da una certa autonomia socio-geografica rispetto alle altre città toscane, ha ospitato un numero molto elevato di società strumentali dilettantesche tutte sue (le cui musiche stanno oggi venendo riscoperte dal nostro censimento, come abbiamo già dimostrato a proposito della Donazione Sparapani all’Archivio storico del comune), e nell’Ottocento ha dato i natali a un vero e proprio gigante della produzione musicale non professionale: Cosimo Burali-Forti.

Impiegato statale, padre del grande matematico Cesare, quest’uomo ha riempito il suo tempo libero collaborando con tutte le istituzioni musicali aretine e dipingendo moltissimo, proprio incarnando la duplice natura artistica di Arezzo, città madre di Guido Monaco come di Giorgio Vasari. Le sue composizioni si trovano disseminate nei tanti fondi musicali aretini ottocenteschi (nella Banda «Guido Monaco» come nella già citata Donazione Sparapani), ma la collezione maggiore è quella che lui stesso ha lasciato in eredità alla Fraternita dei Laici, della quale è stato rettore negli ultimi 5 anni della sua vita. Più di 400 titoli autografi, dato che Burali-Forti ha stilato non solo le partiture, ma anche le riduzioni per canto e pianoforte e molto spesso perfino le singole parti dei suoi lavori, per un totale di più di 1000 unità archivistiche.

Fantasia per clarinetto in si bemolle e pianoforte, autografo alla Fraternita

Scrisse 12 opere serie, tre scherzi melodrammatici, una farsa, una messa di requiem, ben 50 messe con orchestra, 10 per coro a cappella, 2 sinfonie, un quartetto, un concerto per pianoforte, varia musica da camera (soprattutto per fiati e archi), canzoni, pezzi corali, opere sacre non liturgiche, inni patriottici, e musiche di scena per numerosi drammi amatoriali, e tutto questo è conservato quasi in toto nei locali della Fraternita. Successivamente, quando questa contribuì all’istituzione della Biblioteca Città di Arezzo, 18 autografi di lavori teatrali e sacri (di 3 opere, 6 messe, 3 inni, 2 requiem, un Credo), oltre a 4 libretti stampati dei drammi, vennero trasferiti nella neonata collezione.

Aveva una predilezione per i soggetti comici, per il clarinetto in si bemolle (strumento forse suonato da suo fratello Giuseppe, dedicatario di molti suoi pezzi), e amava Verdi, Donizetti e Mercadante (di cui arrangiò alcune canzoni per l’adorato clarinetto accompagnato da pianoforte), oltre ovviamente al conterraneo Guido Monaco, a cui dedicò due lavori per banda. Fervente patriota, scrisse molti pezzi ai caduti delle battaglie risorgimentali. Era anche un uomo profondamente religioso: i suoi moltissimi pezzi sacri furono composti spesso per le parrocchie locali, e per il restauro e la riconsacrazione di chiese. Fu un protagonista della musica aretina non solo come compositore, ma anche come organizzatore: spesso era lui il presidente delle molte società strumentali cittadine e fu lui a rendere eventi europei le celebrazioni aretine per Bartolomeo Cristofori nel 1876 (per la quale arrangiò alcune sinfonie di Rossini e Donizetti per la bellezza di 7 pianoforti a 28 mani) e per la posa del monumento all’amato Guido Monaco nel 1882, a cui parteciparono maestri famosissimi quali il giovane ma già virtuosissimo Ferruccio Busoni, e il grande direttore Luigi Mancinelli (si vocifera che Burali-Forti abbia anche fatto il sostituto maestro del coro per la rappresentazione del Mefistofele di Boito allestito per l’occasione da Mancinelli al Teatro Petrarca).

Un maestro che vide ricompensato il suo amore per la musica, del tutto autodidattico, con il diploma ad honorem del Regio Istituto musicale di Firenze, che lo chiamò anche come insegnante. Una personalità che ha arricchito di suoni la vita dei suoi concittadini: suoni inscritti nella sua musica che il CeDoMus ha riportato alla luce e che aspetta solo di essere riportata in vita!

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